domenica 20 giugno 2010

Bastardi senza gloria: recensione dell'ultimo film di Quentin Tarantino con Brad Pitt


Il cinema è la fabbrica dei sogni e come tale un regista può permettersi di riscrivere la storia, adattandola a proprio piacimento. Così fa Tarantino, che riscrive la storia della Seconda Guerra Mondiale a proprio uso e consumo, confezionando una capolavoro in sette  capitoli.  Bastardi Senza Gloria non è un film sulla Seconda Guerra Mondiale ma trae spunto dalla WWII per prendere strade paradossali ed alternative, che riescono a catturare l'attenzione e la curiosità dello spettatore.
A prescindere dalla presenza di Brad Pitt che nella coralità dell'opera non è un "prim'attore" ma semplicemente uno dei protagonisti,  il vero protagonista la cui interpretazione è già stata premiata è  Christoph Waltz, unico ad apparire in quasi tutti i capitoli e sulla cui figura lo spettatore si sofferma molto,  dalle prime scene fino al fotogramma che precede il "the end".  E' lui che fa da "trait d'union" fra le varie storie che si intrecciano durante la narrazione fino a creare una trama complessa che termina in uno stesso luogo. Buona la prova di Melanie Laurent.  

Giudizio:  @@@@@

Non adatto ai bambini/ragazzi  per scene violente e presenza di sangue a fiotti

N.B.  Questa recensione, pubblicata originariamente qui nell'ottobre 2009, modificata in minima parte, rappresenta l'esordio nel mondo delle recensioni cinematografiche da parte di chi scrive. 

1 commenti:

Pompiere ha detto...

“Inglourious basterds”, ovvero quando il contesto storico diventa un pretesto per alimentare la voglia e l’interesse esclusivo per il pulp, il pop, i “rimasticamenti”. Quentin Tarantino non è incuriosito dai fatti così come sono avvenuti per davvero, anche se mette riferimenti temporali e di luogo, piuttosto a giocare con il cinema e le sue enormi potenzialità. Se potevamo aspettarci i rimandi ad autori come Ford e Clouzot, e ad attori quali Marlene Dietrich e Danielle Darrieux, inattesi ci giungono i riferimenti alle inquadrature e ai colori tipici di certo cinema di Fassbinder.

Contaminati dai film di guerra, dalle commedie, dai gangster-movie e dallo spionaggio, i “basterds” sembrano muoversi come un perfetto gruppo di guasconi che appare e scompare alla maniera di un film di intelligence e servizi segreti. Professionisti fai-da-te, come una sporca dozzina improvvisata e decisamente più cattiva, sono sadici e spietati.

Suddivisa in capitoli, la sceneggiatura è, come consuetudine, tesa ad allungare i tempi narrativi e gioca ad anticipare quello che sta per accadere. Tarantino, così facendo, crea suspense e ci mette al corrente delle carte che ha in mano prima ancora di calarle in tavola. Un vezzo accattivante che è diventata quasi una firma della sua autorialità. Lo sbriciolìo dei capitoli, già visto nell’ultimo “Kill Bill”, nuoce un po’ al film perché lo rende parziale ed eccessivamente ponderato. E’ come se, nel tentativo di allungare i singoli episodi, si approdasse a una prevaricazione narrativa. Incisioni d'autore

Se consideriamo che l’autore ha sofferto dieci anni nella preparazione del soggetto e nella scrittura, non mi spiego come il contenuto delle “storielle” (intese come novelle inferiori alla Storia vera) non sia poi così interessante; fiumi di parole che danno spesso l’idea di un avanzo di idea, ogni tanto sporcati da un’espressività oltremodo teatrale. Come Tarantino stesso c’insegna, non ci si può togliere l’uniforme una volta indossata. Rimane incancellabile, come un marchio scolpito sulla fronte. Mi domando quand’è che gli verrà l’ambizione di oltrepassare la sua stessa arte.

Ricordati di meLa regia e il punto di vista della macchina da presa sono splendidi, sia nell’uso delle panoramiche che nella profondità di campo (che cosa non fa lo scostamento di un lenzuolo messo ad asciugare). La messa in scena è invidiabile, mai banale e pregna di significati, riesce a raccontarci sempre qualcosa.

Questa genialità visiva autorizza il regista statunitense a mescolare “Per Elisa” di Beethoven con un lento incedere musicale ripreso dai film western. Più volte si è detto che Tarantino sarebbe l’unico in grado, se lo volesse, di ereditare lo stile di ripresa cinematografico di Sergio Leone; ecco, quindi, l’uso di primi piani in avvicinamento e di ralenty. E (perché no?) la citazione in un momento altamente drammatico, attraverso la ripresa di un esterno assolato da un interno buio, di “Sentieri selvaggi”. Quentin è come un bambino che gioca con i Lego: smonta il Cinema così come fa’ l’addetta parigina che toglie dal cartellone le lettere del titolo del film tedesco con Leni Riefenstahl. E per di più, si permette di dargli fuoco, usandolo come perfetto strumento di vendetta.

I tedeschi sono così cretini nella loro rappresentazione macchiettistica che non possono che soccombere, l’umorismo è così potente da stendere più delle (e come le) armi. L’unico teutonico serio sembra essere Christoph Waltz (meritatamente vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Cannes come Miglior Attore) nei panni dell’odioso colonnello nazista Landa, inesorabile predatore di ebrei ai quali “fare le scarpe”. Mentre Brad Pitt, grossa cicatrice all’altezza del collo, sembra essersi divertito molto a interpretare il ruolo di Capo Bastardo e incisore perfezionabile di svastiche sulle capoccie dei nazisti. Nessuna morale, nessun basamento politico ispiratore, solo poetica tarantiniana.

Questa è la forza che può sconfiggere anche i tiranni. Adieu, Hitler!

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