Ricevo e volentieri pubblico la recensione del film The Millionaire scritta da Daniela Persico di Incontrollabilmente Io in occasione dell'uscita nelle sale cinematografiche del film, nel lontano 2008. Ricordo che il film ha vinto, fra i tanti premi e riconoscimenti ricevuti, ben 8 premi Oscar fra cui miglior film e miglior regia.
"The millionaire", Slumdog Milionarie, del regista inglese Danny Boyle (nato al grande pubblico con il geniale "Shallow Grave", del 1994 e divenuto planetariamente famoso per "Trainspotting"), è un film eccezionale, in un certo senso quasi perfetto nella sua stroboscopica quantità di imperfezioni.
Numerossissime sono le pecche che si potrebbero trovare a questo film: la ripetitività dell'impianto narrativo, l'iperbole drammatica e catartica, l'esasperazione dei personaggi soprattutto nella fase inziale del film, quella più dolorosamente cruda e crudele, all'eccessivo gusto kitsch della scenografia (peraltro comunque voluto nel perpertuo rimando attuato alla cinematografia Bolliwodiana), ad una macroscopica incongruenza nel copione della quale non si intende bene il motivo, all'intento rossinianamente edificante, più che per aspera ad astra sembra non so neanche bene cosa.
Eppure, eppure, "The millionaire" è un forte pugno nello stomaco che poi si scioglie alla fine nella più dolce delle carezze all'anima.
Il regista coniuga un occhio panoplico sull'India e su Mumbay (da una prospettiva che potremmo definire cronachistica anche quando di primo acchito potrebbe sembrare, stante la sua incredibile durezza, iperbolica e melodrammatica: queste sono le miseria patite dall'India, nelle sue perifierie, dai suoi bambini senza nome, queste sono le vessazioni che si possano trovare mutatis mutandis a Quarto Oggiaro, così come nelle Vele e nelle favelas brasiliane), nutrito da una visuale tipica della cinematografia indiana (non a caso collabora alla regia l'indiana Loveleen Tandan, del resto il film è stato pensato anche guardando moltissimo al pubblico indiano) a suggestioni che sono e non possono che essere anglosassoni e occidentali.
Emerge qua e là, l'ironia amara dello sceneggiatore Simon Beufoy, già autore dei testi di "Full Monty"; quell'ironia tipica inglese, che si cristallizza nei dialoghi quasi fatti di singole e contrapposte battute tra Jamal e il conduttore Prem Kumar (un diabolico Amil Kapoor, che accecato dalla vanità del proprio potere ma ben si potrebbe dire dal potere della propria vanità, rappresenta l'ultima sfida che il nostro picaro deve superare dopo le mille che la sua pur giovane vita gli ha messo davanti).
Il film, tratto dal romanzo dell'indiano Vikas Swarup "Dodici Domande", è un'immensa parobola di come i puri, quelli che posson sembrare "Idioti", come il principe Myskin, sono in realtà quelli che, se non perdono la propria identità, raggiungono ciò che vogliono e anche più di quello che vogliono ("Ce l'hai fatta! Ora hai il tuo autografo!").
E così Jamal, interpretato nella sua versione adulta da un eccellente esordiente, Dev Patel che già è stato insignito di numerosi riconoscimenti, attraversa la propria penosissima Selva Oscura, senza un Virgilio, senza un Dio ("Conosco Allah e le divinità, molto bene", ricordando proprio che per un agguato intestino fra musulmani e induisti ha perso la propria mamma; ma c'è da dire che forse è Ramachandra a salvar lui e suo fratello Salim e che, in ogni caso, a seguito di quell'orrenda carneficina che cambia per sempre il corso della sua vita, Jalim incontra il suo amore, il VERO amore), senza null'altro che se stesso.
Perché sì Jamal ha una Beatrice, Latika (da adulta un'incantevole Freida Pinto) ma in realtà ben si può sostenere che sia lui a renderla tale.
Come forse è Latika a rendere Jamal il proprio salvatore, ma del cammino di quest'ultima poco sappiamo.
E così offesa dopo offesa, Jamal cammina, sempre sulla retta via e anche quando sembra perderla, in realtà, la forza del suo amore per Latika, quella bambina che ha dovuto abbandonare per la propria salvezza e perché costretto dal fratello, la "cattiva strada" non lo prenderà mai.
Perché Jamal non è di questa terra.
Perché ancora contro tutte le evidenze crede nel fratello, quel fratello che è diventato, in un sublime gioco di immagine, colui il quale egli stesso aveva ucciso. Quel fratello che ha profanato il suo più grande amore, ributtandola di nuovo nel suo mortificante (nel senso che poteva portarla alla morte della propria anima) destino.
Quel fratello che però grazie all'amore che ha nel cuore salva più di una volta Jamal e fa alla fine compiere il suo destino.
Perché sì, ci dice Danny Boyle: D)era scritto.
Ma era scritto solamente perché Jamal, e come lui ogni povero angelo caduto sulla terra, ha piegato le proprie ali e la propria testa ma non ha fatto sì che il suo stesso cuore venisse corrotto.
"Slumdog Millionaire" è un film assolutamente da vedere è un balletto Bolliwodiano che ci ricorda come il protagonista del "Processo di Kafka", il Sig. Gregor Samsa, Dante, e ognuno di noi può raggiungere il proprio paradiso.
C'è da augurarsi solo di saper riconoscore il proprio.
Jamal il suo ha saputo dal primo momento qual era.
Sia stata sua madre, una divinità o la pietà umana che ha sempre e nonostante tutto albergato nel suo cuore, ad indicarglielo, non importa.
Jamal lo sapeva.
Era scritto.
3 commenti:
un DVD che non dovrebbe mancare in nessuna scuola...
però agli alunni va fatto vedere dopo una lunga serie di lezioni preliminari: i call center di tante aziende occidentali spostati in India-e-dintorni per abbassare i costi, il divismo che nasce proprio negli strati più poveri della società, le guerre di religione (se ne parla poco, ma in Asia continuano a uccidersi con zelo instancabile), l'acqua minerale che in realtà viene dal rubinetto...
e chiarire che I TRE MOSCHETTIERI sono popolari qui da noi, ma a Mumbai sono così poco conosciuti da diventare oggetto della Domandona finale
Io credo che Millionaire sia una delle più grosse cantonate degli ultimi 10 anni.
Tutti ad esaltare un film povero di contenuti, con una recitazione discutibile ed una regia furba.
L'india descritta da un Turista.
E a me la visione delle slum indiane così all'acqua di rose non va proprio giù.
@Marco46: hai ragione, credo che sia una gran bella occasione per approfondire molte cose che dell'India ci sfuggono.
@Watanabe: questa è un'opinione che ho sentito esprimere da molti, in effetti. Io, come avrai capito, sono di diverso avviso, in ogni caso direi che degli slum (o delle slum, non so come si dica) non dia affatto una visione all'acqua di rose, o meglio oso sperare sia piuttosto fedele...
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